Conoscenza del dolore

Conoscenza dell’anatomia del sistema algico

L’insieme morfofunzionale che, per comodità descrittiva, definiamo “sistema algico” è costituito di due sezioni: l’apparato nocicettivo e l’apparato antinocicettivo. L’interazione fra i due apparati attua la modulazione della percezione dolorosa, facendo in modo che determinati stimoli evochino il dolore e graduandone l’intensità.

Apparato nocicettivo

L’apparato nocicettivo è costituito da:

1.   i nocicettori periferici;

2.   il primo neurone;

3.   la DREZ (giunzione fra primo e secondo neurone);

4.   il secondo neurone (che forma le vie lemniscali ed extralemniscali);

5.   il terzo neurone;

6.   il quarto neurone.

Nocicettori periferici

Gli stimoli esogeni (meccanici, termici e chimici) applicati sui tessuti ed i metaboliti algogeni endogeni prodotti dal danno tessutale eccitano l’estremità distale del primo neurone che funziona da “recettore”, vale a dire come un “trasduttore” in grado di convertire lo stimolo in un’attività elettrica che si propaga nella fibra nervosa.

Va precisato che non esiste uno “stimolo doloroso di per sé”, vale a dire uno “stimolo specifico” responsabile del dolore. Tutti gli stimoli possono essere dolorosi se sufficientemente intensi e quindi potenzialmente in grado di danneggiare i tessuti. Inoltre, la stimolazione di alta intensità dei recettori per il tatto, il caldo, la pressione, eccetera, non evoca il dolore ma semplicemente sensazioni tattili, termiche, pressorie mentre la stimolazione di qualsiasi tipo, purchè di alta intensità, delle “terminazioni nervose libere” evoca il dolore. Le terminazioni nervose libere possono raccogliere anche stimoli diversi da quelli nocicettivi per cui non devono essere considerati recettori “specifici” per il dolore ma recettori “specializzati” a raccogliere le informazioni nocicettive o “nocicettori” per usare il termine introdotto da Sherrington nel 1906. I  nocicettori possono essere classificati come descritto di seguito.

Nocicettori unimodali meccanici Ad

            I nocicettori unimodali meccanici Ad (meccanonocicettori) rispondono soprattutto a stimoli meccanici intensi, specie se provocati da oggetti appuntiti o taglienti, capaci di ledere i tessuti; non rispondono alla stimolazione meccanica non nociva ed agli stimoli chimici e rispondo agli stimoli termici solo se di intensità molto elevata. Tali recettori sono distribuiti su un campo recettoriale di circa 0,5 cm2 rappresentato da un insieme di punti sensibili, sono collegati alle fibre mieliniche Ad e vanno distinti dai meccanorecettori a bassa soglia di eccitazione (corpuscoli di Meissner e Ruffini) collegati alle fibre Ab. Questi ultimi rispondono sia alle stimolazioni meccaniche di bassa intensità (tattili e pressorie) che a quelle di alta intensità (nocicettiva), mentre i meccanonocicettori rispondono solo agli stimoli nocicettivi.

Nocicettori meccano-termici Ad

I nocicettori meccano-termici Ad  hanno una soglia di stimolazione termica attorno ai 45°C, per cui rispondono sia agli stimoli meccanici intensi che alle alte temperature. Collegati alle fibre Ad, si ritiene che essi siano i nocicettori che segnalano la first pain sensation.

Nocicettori termici e chimici Ad

            Il 50% dei nocicettori Ad non rispondono agli stimoli meccanici ma solo a stimoli chimici o termici [Meyer et al.1996].

Nocicettori polimodali C meccanici-termici-chimici

I nocicettori polimodali sono collegati alle fibre C amieliniche e rispondono a stimoli meccanici, termici e chimici di alta intensità. La soglia di eccitazione termica è compresa fra 38-50°C. La risposta dei nocicettori polimodali può diminuire o aumentare a seconda della modalità di stimolazione. In particolare, la risposta si riduce quando lo stesso stimolo è applicato ripetitivamente a intervalli minori di 10 minuti che è il tempo che occorre per il completo recupero [Tillman 1992], altrimenti essa aumenta progressivamente durante l’applicazione dello stimolo, instaurandosi una “sensibilizzazione” che contribuisce a produrre l’iperalgesia tipica del danno tessutale.

Nocicettori termici e chimici C

            Il 30% dei nocicettori C non rispondono agli stimoli meccanici ma solo a stimoli chimici o termici [Meyer et al.1996]. Comunemente, come si dirà fra poco parlando del fenomeno del doppio dolore, si ritiene che i nocicettori Ad siano in grado di localizzare esattamente lo stimolo nocicettivo e che i nocicettori C non siano in grado di fare altrettameto. I nocicettori C, infatti, sono classicamente considerati responsabili del dolore mal localizzato. Questo convincimento è contraddetto da un recente studio che ha dimostrato un errore di localizzazione per gli stimoli termici e chimici intorno ai 10 millimetri, in presenza di un blocco delle fibre A ottenuto con la compressione nervosa [Koltzenburg et al.1993]. Quindi, contrariamente a quanto comunemente ritenuto, anche le fibre C consentirebbero un’accurata localizzazione dello stimolo nocicettivo.

Primo neurone

Il primo neurone collega i nocicettori dei tessuti periferici ai neuroni centrali del midollo e del tronco encefalico. Esso consiste di fibre Ab (tattili e propriocettive) e di fibre nocicettive Ad (poco mielinizzate, a rapida conduzione saltatoria tra un nodo di Ranvier e il successivo e con una velocità media di conduzione dello stimolo di 15 m/secondo) e di fibre C (amieliniche, a lenta conduzione continua e con una velocità media di conduzione dello stimolo di 1 m/secondo) [Bonica 1990a]. Poiché le fibre Ad conducono lo stimolo 15 volte più velocemente delle C, si verifica il cosiddetto “fenomeno del doppio dolore” [Bowsher 1997]. Questo consiste nel fatto che uno stimolo nocicettivo applicato alla periferia degli arti è avvertito come due distinte percezioni separate da un breve intervallo: la prima (“primo dolore”) consiste di una sensazione puntoria ben localizzata che è avvertita solo a livello della cute e delle mucose e non supera la durata dello stimolo, la seconda (“secondo dolore”) consiste di una sensazione diffusa e mal localizzata che è avvertita sia sulla cute che nei tessuti più profondi e supera la durata dello stimolo.

L’insieme dei primi neuroni forma i nervi periferici che si distinguono in somatici e viscerali. Questi neuroni hanno il pirenoforo nel ganglio della radice dorsale e nelle corrispondenti strutture dei nervi cranici e penetrano nel midollo spinale con la radice dorsale o nel tronco encefalico con le corrispondenti strutture dei nervi cranici. Quindi, mentre in periferia i nervi somatici e viscerali sono anatomicamente separati, in prossimità del loro ingresso nel nevrasse essi confluiscono nella stessa struttura che è il nervo radicolare: più prossimamente, una parziale separazione anatomica tra le afferente somatiche e quelle viscerali si ripristina nel SNC, come vedremo discutendo della DREZ spinale.

Sul piano anatomico occorre distinguere il primo neurone che veicola le afferenze nocicettive del collo, del tronco e degli arti (facendo parte dei nervi spinali) da quello che veicola le afferenze nocicettive craniofacciali (facendo parte dei nervi cranici).

DREZ

La zona di ingresso del primo neurone afferente nel sistema nervoso centrale, nota come DREZ (dorsal root entry zone), è la regione dove avviene la trasmissione sinaptica tra il primo e il secondo neurone e, attraverso complessi meccanismi inibitori incentrati sulle inibizioni pre- e postsinaptica, la modulazione delle afferenze nocicettive. La DREZ spinale è rappresentata dal corno dorsale del midollo spinale, quella troncale principalmente dal subnucleo caudale.

Secondo neurone

Il secondo neurone ha il corpo cellulare nella zona marginale, nel nucleo proprio o nel nucleo intermedio della sostanza grigia midollare. Esso dà origine alle fibre dei sistemi ascendenti che conducono le informazioni nocicettive al talamo e sono costituiti da tre gruppi anatomicamente distinti: 1) la via nocicettiva afferente primaria o lemnisco spinale; 2) il sistema ascendente multisinaptico o extralemniscale; 3) il gruppo delle vie nocicettive afferenti “accessorie”.

La via nocicettiva afferente primaria (lemnisco spinale)

            La via nocicettiva afferente primaria (target delle trattotomie) è costituita dai fasci spinotalamico laterale, spinomesencefalico e spinoreticolare. Questi fasci sono ben riconoscibili a livello troncale dove procedono separati ma non sono identificabili come entità anatomiche distinte nel midollo spinale dove, essendo le fibre che li costituiscono frammiste le une alle altre, conviene definirne l’insieme come “lemnisco spinale o sistema anterolaterale”.

Fascio spinotalamico laterale

Il Fascio spinotalamico laterale è costituito dai fasci neo- e paleo-spinotalamico che originano dal corno dorsale del midollo e, metamero per metamero, si decussano nella commessura bianca anteriore per portarsi nel quadrante anterolaterale controlaterale.

Il fascio neospinotalamico è posto lateralmente nel quadrante anterolaterale, ha i suoi neuroni di origine nella zona marginale (lamina I) e nel nucleo proprio (lamina V), termina nel nucleo VPL del talamo e costituisce la via oligosinaptica della componente epicritica del dolore. Esso ha origine filogenetica recente ed una precisa organizzazione somatotopica.

Il fascio paleospinotalamico è posto medialmente nel quadrante anterolaterale, costituisce il contingente di fibre più numeroso del fascio spinotalamico laterale, ha i suoi neuroni di origine nei nuclei proprio e intermedio, è la via filogeneticamente più antica e conduce la componente protopatica del dolore. Le sue fibre terminano in parte su vari nuclei reticolari (che, a loro volta, proiettano sui nuclei intralaminari del talamo mediale) e in parte direttamente sul talamo.

Fascio spinomesencefalico

Il fascio  spinomesencefalico è una via multisinaptica con cellule di origine localizzate nelle lamine I e V. Due terzi delle fibre che lo costituiscono si decussano sulla linea mediana per salire nel quadranti anterolaterale e dorsolaterale del midollo fino al mesencefalo dove terminano sulla PAG, sui tubercoli quadrigemini superiori, sui nuclei di Darkschewitz, Edinger-Westphal, intracolliculare e del colliculo superiore che, a loro volta, proiettano sul talamo mediale. Dal punto di vista funzionale, il fascio spinomesencefalico conduce stimoli nocicettivi epicritici (localizzazione e riconoscimento dello stimolo nocicettivo come doloroso) e protopatici (riconoscimento dell’intensità del dolore) e, collegandosi alla PAG, attiva la via discendente inibitoria.

Fascio spinoreticolare

Il fascio spinoretiolare ha le cellule di origine nelle lamine VII e VIII (nucleo intermedio) del midollo, frammiste alle cellule di origine del fascio paleo-spinotalamico e del sistema ascendente multisinaptico. Queste cellule emettono fibre di piccolo calibro che, latrici di stimoli nocicettivi protopatici, costituiscono il 20% del lemnisco spinale; esse, in parte decussandosi sulla linea mediana e in parte ascendendo omolateralmente, decorrono nella parte più mediale del lemnisco spinale e terminano su vari nuclei reticolari e sulla PAG mesencefalica. A loro volta, i nuclei reticolari cui fanno capo le fibre del fascio spinoreticolare proiettano sul talamo mediale.

La via extralemniscale

Un’ulteriore via nocicettiva centrale è la via extralemniscale o sistema ascendente multisinaptico costituita dalle fibre propriospinali (fascicoli propri), dalla formazione reticolare e dalle connessioni reticolo-ipotalamo-talamo-limbiche. Nel fascicolo proprio laterale decorrono le fibre reticolo spinali che regolano molte funzioni vegetative e l’automatismo degli atti respiratori ma non vi sono probabilmente fibre che veicolano le informazioni nocicettive. Queste fibre decorrono nel fascicolo proprio anteriore e soprattutto in quello posteriore cioè in quel “tratto cornucommissurale” che sale dietro la commissura grigia, alla base dei cordoni posteriori, tra le corna dorsali del midollo. Il sistema ascendente multisinaptico è costituito da una catena di brevi neuroni che, collegati in polisinapsi longitudinali, hanno il corpo cellulare nella parte mediale delle lamine più profonde del corno dorsale del midollo e nella Lamina X. Queste cellule ricevono l’input da nocicettori profondi, particolarmente dalle strutture mediane del corpo e inviano brevi assoni che, percorsi uno o due metameri, rientrano nelle medesime lamine ad un livello superiore per collegarsi ad altri neuroni che ripetono lo stesso schema anatomico e proiettano infine sulla formazione reticolare troncale. Da questa sede, la via extralemniscale proietta sui corpi mammillari da dove origina il fascio mammillotalamico, sul sistema limbico attraverso il medial forebrain bundle (MFB) e sui nuclei intralaminari del talamo.

Le vie nocicettive accessorie

            In particolari situazioni il dolore può essere condotto da vie alternative. Per esempio, dopo la cordotomia è talvolta possibile la percezione del dolore nell’area analgesica perchè si “aprono” vie sussidiarie che comprendono vie per la conduzione del dolore epicritico (cordoni posteriori e fascio spinocervicale) e protopatico (tratto di Lissauer).

Cordoni posteriori

Il maggior contingente delle fibre dei cordoni posteriori è costituito dai prolungamenti centripeti dei neuroni di primo ordine che hanno il pirenoforo nel ganglio della radice dorsale e veicolano informazioni tattili e propriocettive epicritiche, costituendo i fascicoli gracile e cuneato. Oltre a questo principale contingente di fibre nervose, nei cordoni posteriori vi sono anche vere e proprie fibre nocicettive che, come neuroni di secondo ordine con pirenoforo nel corno dorsale del midollo, salgono omolateralmente, davanti al fascio degli afferenti primari, per raggiungere i nuclei dei cordoni posteriori nel bulbo. Le fibre efferenti da questi nuclei attraversano la linea mediana e, con il lemnisco mediale, raggiungono il nucleo ventro-postero-laterale del talamo.

Fascio spino-cervicale

Il fascio spino-cervicale è un’ipotetica via accessoria per la conduzione del dolore epicritico. Esso è ben sviluppato nel gatto dove sembra che il quadrante posterolaterale sia più importante dell’anterolaterale per quanto concerne la conduzione delle informazioni nocicettive e che il fascio spino-cervicale sia l’omologo del fascio neo-spinotalamico nell’uomo. Nell’uomo la presenza del fascio spino-cervicale non è costante e nulla di preciso si sa circa l’origine di queste fibre: la lesione del quadrante postero-laterale provoca, però, la cromatolisi di neuroni del nucleo proprio omolaterale che potrebbero costituire i neuroni di origine di questo fascio. Sembra che il fascio spino-cervicale salga nel  funicolo dorsolaterale omolaterale per raggiungere il nucleo cervicale laterale a livello di C1-C2 e che i neuroni di questo nucleo, a loro volta, proiettino controlateralmente nel quadrante anterolaterale del midollo per raggiungere il nucleo ventro-postero-laterale del talamo.

Tratto di Lissauer

Il tratto di Lissauer sale omolateralmente e appena dietro l’ingresso del primo neurone nel midollo spinale e coincide con la zona terminale di Lissauer (che ne costituisce una sezione trasversa). Esso si estende per tutta la lunghezza del midollo continuandosi rostralmente nel tratto spinale del trigemino ed è costituito dalle fibre della divisione laterale della radice dorsale che si biforcano in un ramo ascendente ed uno discendente (ciascuno dei quali emette collaterali dirette al corno dorsale del midollo) e da fibre derivate da neuroni della sostanza gelatinosa che entrano nel tratto di Lissauer e, percorrendovi pochi millimetri, collegano le parti adiacenti della zona periferica del midollo come “interneuroni a circuito locale”. Ciascuna di queste corte fibre spino-spinali, pur avendo singolarmente un percorso molto breve, contribuisce a formare una via ascendente in quanto si associa ad altre fibre della stessa natura il polisinapsi longitudinali.

Terzo neurone

Il terzo neurone ha sede nel talamo a livello dei nuclei dorsomediale (DM), ventro-postero laterale (VPL) e ventro-postero mediale (VPM) che proiettano sulla corteccia. Gli altri nuclei talamici che ricevono afferenze nocicettive sono il centrolaterale (CL), il parafascicolare (Pf) e il centromediale (CM) che costituiscono il complesso dei nuclei intralaminari (NIL): essi non proiettano direttamente sulla corteccia ma sul nucleo DM che, a sua volta, proietta sulla corteccia.

Quarto neurone

Il quarto neurone nocicettivo ha sede nella corteccia. I neuroni nocicettivi specifici e gli WDR neurons non si trovano solo a livello midollare ma anche a livello talamico e della corteccia. Nella corteccia vi sarebbero aree distinte, deputate rispettivamente al riconoscimento delle componenti sensoriale-discriminativa, affettiva motivazionale e cognitiva-valutativa del dolore [Treede et al.1999].

Per quel che concerne il riconoscimento della componente sensoriale-discriminativa, a livello corticale, sono state indetificate due aree chiamate somatosensoriali: la “primary somatosensory area” (SI) e la “secondary somatosensory area” (SII).

La SI è la più estesa e la più importante per il riconoscimento della componente sensoriale-discriminativa del dolore [Lamour et al.1983, Kenshalo and Isensee 1983] e per la localizzazione degli stimoli tattili. Essa si trova lungo il solco centrale ed è suddivisa in 4 aree secondarie, delle quali la 3, posta nella circonvoluzione post-centrale del lobo parietale o solco post-centrale, riceve le afferente nocicettive. Quest’area si prolunga dalla superficie laterale del lobo parietale a quella mediale ed è organizzata somatotopicamente: in essa il ristretto campo recettoriale dei neuroni (ancora più piccolo di quello dei neuroni nocicettivi spinali e talamici [Treede 1999]) consente di individuare con precisione la parte del corpo dov’è applicato lo stimolo nocicettivo [Lamour et al.1983]. In altre parole, vi sarebbe nella corteccia del giro post-centrale una mappa delle varie regioni corporee e, anche se le potenziali implicazioni cliniche non sono ancora chiarite, già mezzo secolo fa Marshall [1951] aveva osservato che un circoscritto danno della corteccia parietale provoca la perdita della capacità di riconoscere lo stimolo doloroso applicato nella regione somatica corrispondente. Che una siffatta somatotopia esista nell’area SI è confermato indirettamente dagli studi con la positron emission tomography (PET) che hanno evidenziato un’aumentata perfusione dell’area SI dopo la stimolazione termica nocicettiva condotta su variabili aree somatiche puntiformi [Talbot et al.1991, Casey et al.1994]: tale risposta manca quando è stimolata allo stesso modo sempre la stessa area [Jones et al.1991]. Molto meno importante per quel che concerne il riconoscimento della componente sensoriale-discriminativa del dolore è la secondary somatosensory area (SII) [Dong et al.1989, 1994].

Per quel che concerne il riconoscimento della componente affettivo-motivazionale del dolore (comportante la sgradevolezza dell’esperienza che viene interpretata come “sofferenza” ed avvia i meccanismi di evitamento dello stimolo causale), sarebbero responsabili di questo aspetto gli stimoli che percorrono le vie paleo-spinotalamiche poste nella porzione mediale del quadrante anterolaterale del midollo ed a livello corticale la anterior cingulate cortex che è parte del lobo libico [Sikes e Vogt 1992, Yamamura et al.1996], l’insula e l’amigdala.

Apparato antinocicettivo

 

IL DOLORE NEUROPATICO ED IL SUO APPROCCIO TERAPEUTICO

Lo studio e la cura delle neuropatie periferiche e delle nevralgie è diventato un campo importante di ricerca. Il dolore associato a queste condizioni patologiche non è stato ancora pienamente compreso e comunque finora non ha ricevuto il dovuto interesse nei comuni test neurologici. Il dolore originato da una neuropatia periferica o da una nevralgia, sporadico o talvolta cronico, può essere resistente al trattamento. Comunque un regime terapeutico ben regolato ed applicato presso un’unità di terapia del dolore, offre le migliori garanzie di un esito positivo, rispetto ad altri approcci specialistici.



Generalità

Sono stati proposti diversi termini per definire questo tipo di dolore legato ad alterazioni delle funzioni neurologiche, ma quello che oggi si preferisce è il termine generico, appunto, di dolore neuropatico che indica unicamente la sua origine da un’anomalia funzionale del sistema nervoso (6).

La confusione riguardante la semantica delle differenti condizioni dolorose ha tratto notevoli vantaggi dalla pubblicazione di una tassonomia del dolore pubblicata dalla IASP.

Per nevralgia si intende correntemente un dolore nel territorio di distribuzione di uno o più nervi. Il termine va utilizzato principalmente per indicare le forme di dolore non parossistico, anche se sussistono alcune eccezioni.

Con il termine di neuropatia, invece, si indica un disturbo funzionale o un’alterazione patologica del tessuto nervoso periferico. Può essere limitata a un solo nervo (mononeuropatia), a diversi nervi (mononeuropatia multipla) o assumere una distribuzione simmetrica e bilaterale (polineuropatia). Una particolare neuropatia è la neurite che indica principalmente un processo infiammatorio dei nervi.

Le neuropatie dolorose più frequenti sono quelle mononeuropatiche. Si riconoscono varie entità etiopatogenetiche: nelle aree urbane prevalgono le forme da trauma, negli anziani è frequente quella posterpetica mentre in clinica medica è classica quella diabetica.

Le mononeuropatie più conosciute sono la posttraumatica, la posterpetica, la diabetica, la carcinomatosa, quella da artrite reumatode, quella da LES, quella da “intrappolamento” e la metastatica (6).

Per quanto riguarda le polineuropatie sono una varietà sconcertante e sono caratterizzate dall’interessamento, selettivo e non, di fibre:

 

 

Meccanismi del dolore

Si conosce che gli impulsi che originano dalle fibre nocicettive afferenti primarie provocano la comparsa del dolore in dipendenza dal numero e dalla frequenza con cui raggiungono il sistema nervoso centrale. Questa spiegazione non fornisce un modello operativo valido per il dolore da nevralgia e da neuropatia periferica. Le attuali conoscenze suggeriscono che la soppressione di normali impulsi inibitori afferenti potrebbe essere un fattore determinante, come proposto inizialmente nella teoria del gate control (7).

La distruzione delle fibre afferenti di grosso diametro e la conseguente perdita di impulsi inibitori costituiscono una spiegazione valida, ad esempio, del dolore che insorge nella nevralgia post-herpetica. L’elettrostimolazione consente, in questi stati di iperestesia, di apportare un certo sollievo; questo dato tende a sostenere l’ipotesi che il problema sia uno squilibrio delle afferenze sensitive. Tuttavia non è dimostrato che il numero di grosse fibre mieliniche o il rapporto di queste fibre con quelle amieliniche è connesso con l’insorgenza del dolore nelle nevralgie. Inoltre non convince l’ipotesi che uno ‘squilibrio’ delle fibre nervose sia la sola spiegazione del dolore. Esistono neuropatie nelle quali sono colpite prevalentemente le fibre di grosso diametro e che sono solitamente indolori. Alcune affezioni a carico delle sole piccole fibre amieliniche (come la rara polineuropatia di Fabry) sono dolorose. Una situazione opposta si osserva nella lebbra. La condizione cronica di dolore persistente sfida qualsiasi spiegazione adeguata sul ruolo di un processo degenerativo a carico delle fibre nervose attive nell’insorgenza della sofferenza. Neppure l’età sembra essere un fattore importante. Un’ulteriore spiegazione del dolore nelle fasi iniziali delle neuropatie, come quella diabetica, è la stimolazione dei nerva nervorum di un nervo appena danneggiato dall’ischemia (7).

La demielinizzazione nervosa può comportare l’insorgenza di impulsi spontanei e di focolai eccezionalmente sensibili a stimoli meccanici o chimici. Il dolore associato alle mononeuropatie periferiche da compressione può essere di origine ischemica. Questo fenomeno si osserva clinicamente nella sindrome del tunnel carpale.

Una spiegazione alternativa è quella di considerare tutte queste condizioni come una forma di deafferentazione. Il termine dolore da deafferentazione è entrato nell’accezione comune per indicare un dolore in una qualsiasi parte del corpo in cui il flusso di impulsi afferenti è stato interrotto parzialmente o completamente. Un’interruzione può avvenire a qualsiasi livello neurologico, dalla periferia alla corteccia. I risultati scadenti ottenuti con le terapie neurolesive suggeriscono una spiegazione alternativa per queste forme di dolore e la ricerca di terapie più efficaci. Un meccanismo centrale è stato ripreso per spiegare la comparsa di questi dolori ed è alternativo a quello che dipende dalla trasmissione nelle fibre nocettive primarie.

Le scoperte dei meccanismi di plasticità neuronale hanno portato ad indagare le caratteristiche del dolore cronico secondo un’approccio completamente diverso. Da questi studi sono emerse alcune forme di piasticità neuronale con spiccata localizzazione nei circuiti midollari la cui esistenza potrebbe chiarire la natura ed il miglior trattamento clinico delle condizioni di iperalgesia. Almeno tre di questi meccanismi di plasticità hanno assunto in questo ambito un rilevanza basilare: il fenomeno del wind-up; la cosidetta Long Term Potentiation o LTP (potenziamento a lungo termine) e la Long Term Depression o LTD (depressione a lungo termine).

1) Il wind-up costituisce un progressivo incremento registrato nei neuroni delle corna posteriori del midollo spinale ed in quelli motori delle corna anteriori del numero dei potenziali d’azione scatenati in seguito a stimolazione delle fibre C ad una frequenza maggiore di 0.5 Hz. Quando la frequenza di stimolazione di una singola radice dorsale raggiunge gli 0.5 Hz, il potenziale eccitatorio postsinaptico (EPSPs) totale nelle cellule delle corna anteriori produce una depolarizzazione cumulativa che si esprime in una raffica di potenziali d’azione invece che in un singolo potenziale d’azione per ogni stimolo a livello della radice posteriore. Quando la stimolazione ad alta frequenza viene interrotta, i potenziali d’azione si protraggono ancora per 60 secondi (intervallo corrispondente alla durata della depolarizzazione delle cellule delle radici dorsali) per poi cessare. L’utilizzazione di una stimolazione a bassa frequenza riduce notevolmente l’insorgenza del wind-up, insorgenza che viene completamente abolita dall’uso degli antagonisti recettoriali dell’N-Metil-D-Aspartato, noto come NMDA.
Viene suggerito che il fenomeno del wind-up può essere visto come la sommazione temporale di EPSPs mediati dal recettore per l’NMDA.

2) Il fenomeno della LTP si presenta come un’incremento a lunga durata della trasmissione sinaptica (cioè un incremento nell’ampiezza dei potenziali eccitatori postsinaptici registrati in risposta ad uno stimolo-prova ed un successivo incremento nell’eccitabilità della cellula postsinaptica) causata da una stimolazione ad alta frequenza (superiore ai 100 Hz) e di breve durata della via sinaptica. La forma più comune di LTP si osserva quando scariche ad alta frequenza di attività presinaptica determinano un rilascio di glutammato dai terminali presinaptici

3) Con il termine di LTD si intende un decremento di lunga durata dell’efficacia della trasmissione sinaptica, che può essere causato da una stimolazione prolungata. I suoi meccanismi di base sono stati chiariti di recente. Essa è caratteristica dell’ippocampo, della corteccia visiva, di quella sensitiva, di quella motoria e di quella prefrontale. Nell’ippocampo e nel neo-cortex la LTD sembra essere indotta nelle cellule postsinaptiche da una fonte di ioni calcio simile a quella che si trova alla base del l’induzione della LTP, ma di concentrazione leggermente inferiore. Come nel caso della LTP, la fonte di provenienza degli ioni calcio non sembra essere importante: essa potrebbe derivare infatti da un deposito di notevole entità di una vicina sinapsi, da depositi intra-cellulari, da un influsso attraverso i canali voltaggio-sensibili, o infine da canali associati al recettore per l’NMDA. Ciò che sembra essere importante è senza dubbio l’ampiezza dell’incremento della concentrazione dello ione all’interno della cellula.
Sono da chiarire le principali differenze tra LTP e wind-up:

1 – esiste innanzi tutto una difformità di ordine cronologico: tutte le osservazioni sono concordi nell’attribuire al wind-up una durata di pochi minuti, fino ad un massimo di 20; la LTP dura da 1 ora (limite temporale minimo) a diversi mesi;
2 – dopo l’iniziale depolarizzazione coinvolta nell’induzione dell’LTP, il potenziale di membrana di riposo, la resistenza all’ingresso delle correnti ioniche e le proprietà passive di membrana delle cellule postsinaptiche sono identiche a quelle delle cellule non potenziate. Ciò è in contrasto con quanto avviene nel wind-up, dovuto ad una depolarizzazione persistente;
3 – la LTP può essere prevenuta ma non inibita dai bloccanti dei recettori NMDA, mentre il wind-up può essere prevenuto e bloccato dagli antagonisti dei recettori NMDA.

Caratteristiche cliniche

Le caratteristiche cliniche di una neuropatia periferica possono comprendere ipostenia, atrofia muscolare, fascicolazioni, crampi e iporeflessia tendinea. Le alterazioni sensitive possono coinvolgere alcuni o tutti i tipi di sensibilità. Il dolore si può manifestare con parestesie o iperestesia. L’iperpatia (caratterizzata da ritardo, iperreazione e sensazione postuma a uno stimolo) si associa spesso a lesioni parziali o complete dei nervi periferici. Il dolore può essere descritto come gravativo (come nella nevralgia diabetica ed in quella ischemica) o lancinante (come nella neuropatia da tabe e nel coinvolgimento carcinomatoso dei nervi periferici). Un interessamento del sistema vegetativo si può manifestare con una sindrome di Horner o con alterazioni della temperatura, del colorito o della sudorazione agli arti, con disturbi funzionari dell’apparato genito-urinario o con impotenza..

Esso può diffondersi ampiamente, interessando zone lontane dalla sede della lesione primitiva; possono inoltre comparire una dolenzia muscolare ed una ipersensibilità cutanea nelle regioni che hanno una relazione segmentale nervosa con l’area lesa.

Caratteristiche:

◦ Il dolore è percepito in assenza di un processo o di lesione tissutale permanente ed identificabile;
◦ Sono presenti sensazioni sgradevoli, anormali o insolite (disestesie), frequentemente riferite come bruciore o scossa elettrica;
◦ Sono presenti brevi episodi di dolore parossistico a carattere lancinante o trafittivo;
◦ Il dolore compare in ritardo rispetto alla lesione scatenante;
◦ Il dolore è percepito in una regione di deficit sensitivo;
◦ Anche stimoli leggeri sono dolorosi (allodinia);
◦ C’è sommazione marcata ed attività persistente dopo l’applicazione di stimoli ripetuti.
I pazienti con polineuropatia secondaria a diabete mellito possono presentare torpore e perdita della sensibilità distale, con bruciore ed iperestesia e sintomi di neuropatia del sistema autonomo (es. ipotensione ortostatica). La neuropatia diabetica in fase iniziale spesso si presenta con un intenso bruciore ai piedi, accompagnato da arrossamento della cute, generalmente attenuato con l’immersione in acqua fredda, ed aggravato dal calore.

La neuropatia secondaria ad insufficienza renale cronica generalmente non è dolorosa, sebbene i pazienti possano accusare agitazione degli arti, torpore distale e parestesie. La neuropatia secondaria all’uso di isoniazide può causare dolorabilità ai muscoli del polpaccio con dolore e parestesie spontanee che peggiorano di notte.

Diagnosi

La conferma della diagnosi di neuropatia periferica si ottiene soprattutto attraverso indagini sulla conduzione nervosa. In caso di difficoltà a differenziare una neuropatia periferica da una miopatia, l’elettromiografia risolve ogni incertezza.

Generalmente è sufficiente un’attenta anamnesi ed un esame obiettivo per determinare la causa più probabile di una nevralgia. L’elettromiogramma (EMG) può delineare il livello di una compressione o suggerire una polineuropatia. Gli esami di laboratorio possono essere di aiuto nella diagnosi di una neuropatia periferica secondaria a diabete mellito, mieloma multiplo o ipotiroidismo.

TRATTAMENTO

Profilassi

La nevralgia posterpetica è una condizione angosciante, spesso a lungo termine, il cui trattamento ha sconcertato i medici per molti anni. Di conseguenza, gli sforzi sono stati orientati soprattutto ad approfondire la profilassi di questa patologia. L’impiego dei corticosteroidi nel trattamento dell’herpes zoster acuto è stato alla base di diversi studi. I corticosteroidi riducono l’incidenza della nevralgia posterpetica e favoriscono la cicatrizzazione cutanea. Tuttavia, il rischio, per altro raro, di questi farmaci è l’insorgenza di un herpes zoster disseminato. Anche la somministrazione di levodopa si è dimostrata efficace nel ridurre l’incidenza della nevralgia posterpetica.

L’efficacia dei farmaci antivirali nel trattamento dell’herpes zoster acuto non è stata accertata nella nevralgia posterpetica. Sia l’amantadina che l’acyclovir riducono il tempo di guarigione nell’herpes zoster acuto. L’acyclovir è il farmaco meno tossico e il suo impiego è diffuso. Rimane tuttavia incerto se esso abbia un effetto qualsiasi sulla nevralgia post-herpetica.

Un altro elemento fondamentale della profilassi consiste nel riconoscere e nell’evitare, quando possibile, i farmaci responsabili di neuropatia periferica. I farmaci più spesso implicati sono nitrofurantoina, vincristina e isoniazide. L’incidenza di un dolore post-toracotomico può essere ridotta con il blocco dei nervi intercostali, praticato al momento dell’intervento chirurgico o successivamente. Infatti il blocco di conduzione precoce, mediante anestetici locali di lunga durata come ropivacina e bupivacaina, preverrebbe il dolore con un meccanismo di tipo “preemptive“. Gli interventi chirurgici sul sistema nervoso periferico provocano spesso la comparsa di neuromi, nevralgie e dolore da deafferentazione. Pertanto è determinate la selezione attenta dei pazienti e di fare una terapia tradizionale, prima di un trattamento chirurgico del dolore neuropatico. Un altro obiettivo della terapia della nevralgia periferica comprende la mobilizzazione dell’arto colpito al fine di evitare un peggioramento derivante dallo stato di mancato uso dell’arto, con conseguente riduzione degli stimoli nervosi centrali da immobilizzazione dell’arto. Infatti in tutti i protocolli terapeutici deve essere compresa un’intensa terapia fisica per ristabilire, appunto, la funzionalità, prevenire l’atrofia muscolare da non uso e la distrofia dei tessuti molli, e ristabilire gli impulsi nervosi centrali.

Trattamento iniziale

L’approccio terapeutico iniziale si basa sull’identificazione, laddove possibile, dell’agente eziologico (2). Il trattamento della causa può condurre ad un miglioramento dei sintomi nella maggior parte dei casi.

1 – Il trattamento chirurgico di una compressione nervosa può dare sollievo, anche se alcuni interventi possano peggiorare la situazione
2 – Il dolore da neuropatia diabetica, ad esempio, può regredire con un miglior controllo della glicemia
3 – Il dolore da neuropatia secondaria a mieloma può rispondere alla chemioterapia
4 – Il dolore dovuto alla polineuropatia alcolica talvolta migliora con l’astinenza e una dieta corretta. Ad esempio 100 mg di tiamina per os al giorno sono efficaci. Anche più drammaticamente efficaci sono risultati, a lungo termine, i blocchi ripetuti del sistema simpatico con anestetici locali, come il blocco del ganglio stellato nelle neuropatie dell’arto superiore
5 – Pure la neuropatia da isoniazide può rispondere alla terapia vitaminica con piridossina, come pure le neuropatie secondarie a carenze vitaminiche (come il beri-beri o la pellagra, rare nei paesi civilizzati) rispondono ad una dieta corretta o all’apporto supplementare di vitamine

Terapie specifiche

Un approccio di base, iniziale ed immediato dovrebbe essere quello di eseguire un’infiltrazione del nervo colpito con anestetico locale (ad es. 4-5 ml di bupivacaina allo 0.50% o di ropivacaina all’1%). Il paziente può essere controllato ogni settimana e le iniezioni ripetute periodicamente. Quando con il solo uso di anestetici locali non si ottiene un miglioramento duraturo, all’infiltrazione dell’anestetico locale può essere associata una piccola quantità di corticosteroidi (ad esempio triamcinolone 12.5 mg o desametasone 2 mg). Si ritiene che lo steroide stabilizzi le membrane neuronali (2, 3).

Gli analgesici narcotici e non narcotici si sono dimostrati spesso inefficaci nel controllare il dolore delle nevralgie e delle neuropatie periferiche. L’esito negativo ottenuto con queste terapie portò all’impiego di farmaci ad azione centrale, come ad esempio, la fenitoina, la carbamazepina, gli antidepressivi triciclici ed i derivati delle fenotiazine. Purtroppo il successo della carbamazepina nel trattamento dell’80-90% dei casi di nevralgia del trigemino, ad esempio, non si è ripetuto in altre forme di nevralgia periferica. Questo farmaco può essere efficace nelle nevralgie caratterizzate da dolori lancinanti episodici, mentre nei pazienti con dolore costante può essere utile l’associazione di un antidepressivo triciclico con un derivato delle fenotiazine.

Sebbene l’impiego degli antidepressivi triciclici nel trattamento delle nevralgie sia iniziato più di 20 anni fa, gli studi ben controllati sono esigui. L’aggiunta di un derivato fenotiazinico come la flufenazina consente un significativo miglioramento della sintomatologia nei pazienti insensibili alla sola amitriptilina. La prolungata somministrazione della flufenazina da sola può portare a una depressione suicida: è determinante l’associazione con un antidepressivo triciclico.

L’effetto terapeutico dei farmaci triciclici non pare associato all’azione antidepressiva. Inoltre il modo con cui un’associazione di antidepressivi triciclici e fenotiazine possa influenzare il dolore delle nevralgie e delle neuropatie periferiche rimane inspiegato. La risposta ai triciclici spesso precede di settimane qualsiasi effetto antidepressivo. Talvolta l’effetto analgesico tarda a comparire, per cui la terapia con questi farmaci va proseguita per almeno 3 settimane prima di rinunciare.

L’uso prolungato della flufenazina può causare una sintomatologia depressiva e confusionale. L’effetto motorio più comune è il parkinsonismo. Sporadicamente si può manifestare una distonia acuta subito dopo la somministrazione del farmaco e, raramente ma in forma più grave, può comparire una discinesia tardiva.

Gli effetti collaterali più comuni degli antidepressivi triciclici sono di tipo anticolinergico (xerostomia, esacerbazione di un glaucoma, ritenzione urinaria, confusione mentale per gli effetti centrali di questi farmaci).

La dose di carbamazepina va scalata molto attentamente. E consigliabile controllare frequentemente il paziente ed i livelli plasmatici del farmaco. Gli effetti collaterali sono soprattutto a carico del sistema nervoso centrale, con nistagmo, atassia, sedazione e confusione. Raramente possono comparire eruzioni cutanee e agranulocitosi ed il farmaco va interrotto al primo indizio di intossicazione (10).

La fenitoina si è dimostrata efficace in alcune nevralgie periferiche. La dose iniziale è di 100 mg per os tre volte al giorno. Le dosi possono essere portate a 300-500 mg al giorno in modo da mantenere i livelli plasmatici a 10-20 mcg/ml. Se, nonostante il raggiungimento di livelli sierici terapeutici di anticonvulsivante, il paziente non mostra alcun miglioramento, si deve interrompere la terapia (10).

Quando gli anticonvulsivanti non hanno avuto effetto, si può prendere in considerazione un trattamento con farmaci antiaritmici. Le infusioni endovenose di lidocaina sono efficaci nel trattamento delle nevralgie del trigemino e delle neuropatie diabetiche. Si esegue un continuo monitoraggio elettrocardiografico e si effettua un’infusione di 2 mg/kg di lidocaina in 5 minuti, seguita da un’infusione di 50 m g/kg/min per 30 minuti. Anche la tocainide, altro antiaritmico orale, sembra essere utile nel trattamento di alcune nevralgie (400 mg per os tre volte al giorno) e la mexiletina si è dimostrata efficace in caso di neuropatia secondaria a diabete mellito (200 mg per os tre volte al giorno).

L’introduzione nella terapia del dolore neuropatico di gabapentina, di medprotina, vigabatrin e della lamotrigina sta aprendo nuove opportunità terapeutiche, specie per quanto concerne la loro associazione con analgesici puri.

Tra questi ed in questo specifico ambito, sta esibendo una buona efficacia il tramadolo. Questo oppioide minore e non stupefacente probabilmente riesce ad agire bene per la sua funzione multipla. Infatti agisce a livello dei recettori m della morfina, inibisce il reuptake di noradrenalina e serotonina (principali neutrasmettitori delle vie discendenti di modulazione del dolore) e blocca il break trought pain, tipico delle fasi di esacerbazione. La posologia consigliata è di 200/250 mg al giorno per via orale, in gocce o nella forma slow-release, sia associato agli antidepressivi che agli antiepilettici.


Stimolazione delle fibre afferenti

Nelle nevralgie l’impiego della TENS può raggiungere risposte positive elevate. Essa è praticamente esente da effetti collaterali, a parte una possibile irritazione cutanea dovuta agli elettrodi necessari per l’applicazione. Talvolta la risposta iniziale a questo trattamento è un’esacerbazione del dolore, ma se il paziente persevera il dolore si può attenuare. In queste condizioni si è ricorsi anche alla stimolazione elettrica delle colonne dorsali attraverso un sistema impiantato. I principali problemi associati alla stimolazione epidurale sono lo spostamento degli elettrodi e la possibilità di infezioni. Il costo elevatissimo della tecnologia ne limitano l’impiego. Nella maggior parte dei casi, l’impiego della TENS è meno dispendioso e certamente meno invasivo.

Anestetici locali

Il successo dei blocchi del simpatico, ottenuto nel trattamento della causalgia, non è stato sempre riscontrato nelle nevralgie e nelle neuropatie. Diversi autori, comunque, ritengono che la ripetizione di questi blocchi riduca l’incidenza della nevralgia posterpetica. Ad ogni modo, i risultati ottenuti variano notevolmente (1,8). Nella fase acuta dell’herpes zoster, è stato riportato che l’infiltrazione delle vescicole con anestetici locali e corticosteroidi riduce l’incidenza del dolore associato alla fase acuta e alla nevralgia posterpetica. Alcune nevralgie post-traumatiche, come le nevralgie intercostali post-operatorie e le nevralgie del moncone postamputazione, rispondono spesso ai blocchi nervosi periferici intermittenti con anestetici locali (bupivacaina allo 0,5% o ropivacaina all’1%) e corticosteroidi, associati a terapia fisica (8,9). Nelle nevralgie del moncone l’infiltrazione può essere fatta anche direttamente nell’area dolente, con una tecnica a ventaglio aumentando il volume della soluzione e riducendone la concentrazione anestetica.

Le neuropatie “da intrappolamento” (come la meralgia parestesica) possono essere risolte anch’esse con i blocchi nervosi intermittenti con anestetico locale. I blocchi per infusione endovenosa di guanetidina, secondo Hannington-Kiff, si sono dimostrati efficaci nel trattamento di neuromi dolorosi e di certe neuropatie periferiche post-traumatiche o postoperatorie dell’arto superiore. La tecnica è abbastanza agevole ed è sovrapponibile al blocco endovenoso retrogrado degli arti con di anestetici locali a scopo chirurgico. Infatti dopo aver incannulato una vena dell’arto superiore, svuotato il circolo del sangue e bloccato con un doppio manicotto la radice dell’arto, si esegue l’infusione di guanetidina preceduta, preferibilmente, da basse dosi di lidocaina.

Dopo 20 minuti e quando il farmaco si è fissato completamente si aprono i manicotti emostatici per pochi secondi e si richiudono ad intermittenza, per alcune volte. Ciò ad evitare che residui di guanetidina passino rapidamente nel circolo sistemico.

Alla mancanza di guanetidina, non reperibile in Italia, si può ovviare con blocchi endovenosi retrogradi con lidocaina 2% o ropivacaina 1%, eseguiti giornalmente.

I pazienti con bruciore ed iperpatia, quali segni fisici predominanti, possono essere sottoposti a blocchi del sistema simpatico, in quanto la sindrome dolorosa potrebbe avere una componente simpatica. Se il paziente mostra un miglioramento dei sintomi in seguito a blocco del sistema simpatico, si può eseguire una serie di blocchi, inizialmente ad intervalli brevi (1-2 giorni).

Una terapia efficace nel trattamento delle nevralgie facciali atipiche ed in alcuni dolori da neuropatia della faccia è risultato il blocco del ganglio sfenopalatino (4).

Il blocco può essere eseguito due volte la settimana e non ha bisogno di attrezzature particolari e dell’amplificatore di brillanza. Si esegue per via transnasale ed in regime ambulatoriale essendo scarsamente tossico e non essendo un tecnica invasiva.

La tecnica classica prevede l’apposizione diretta di lidocaina al 2% o il gocciolamento mirato direttamente alla fine dei turbinati medi e quelli superiori in prossimità del forame sfenopalatino, con il paziente supino, il collo leggermente iperesteso. Una tecnica alternativa è quella originale che prevede l’apposizione sul ganglio sfenopalatino, mediante iniezione con ago a punta atraumatica olivare, della mistura anestetica EMLA. Il blocco risulta ugualmente efficace ma ha il vantaggio che la crema resta più a lungo sull’area rispetto alla soluzione di lidocaina ed ha un assorbimento maggiore (4,5).

I pazienti che non rispondono alle terapie suddette possono trarre benefici da un prolungato blocco anestetico locale, peridurale o perinervoso continuo, inizialmente in regime di ricovero (1).

La nevralgia degli arti inferiori può essere controllata mediante analgesia epidurale lombare continua, con infusioni di bupivacaina allo 0.25-0.50% o ropivacaina 0,75% – 1%.

La nevralgia degli arti superiori può essere controllata mediante blocco continuo dei plesso brachiale, ricorrendo ad un approccio ascellare o infrascalenico (9). Il blocco deve essere mantenuto per 3-6 giorni e contemporaneamente si ricorre ad intensa fisioterapia.

Gli anestetici locali penetrano scarsamente nella cute ed un’emulsione a base di lidocaina e prilocaina, l’EMLA, è stata però utilizzata per ridurre il dolore da nevralgia posterpetica, ottenendo un efficace controllo a breve termine del dolore, specie nei casi di nevralgia facciale e toraciche (5). Le concentrazioni plasmatiche di anestetico locale risultano minime e mai tossiche. Quando si associa all’EMLA una terapia con analgesici oppioidi minori come il tramadolo i risultati positivi aumentano e si mantengono più a lungo.

Ovviamente questi risultati attendono una conferma da altri studi controllati con placebo.

Trattamento topico

L’impiego di farmaci a uso topico nel trattamento della nevralgia posterpetica è stato sperimentato in diversi centri ed è sembrato promettente. La capsaicina è una neurotossina che si ritrova naturalmente nel peperoncino. Questa sostanza provoca una deplezione di sostanza P e blocca selettivamente, oppure distrugge a dosi elevate, le fibre afferenti sensitive nocicettive. Preparazioni topiche di capsaicina allo 0,025% sono state utilizzate con risultati discreti. Il problema principale di questa terapia è l’effetto revulsivo provocato dal farmaco, che può essere difficile da sopportare. In Italia non è ancora presente.

Terapia chirurgica

L’utilità della terapia chirurgica in certe nevralgie (come ad esempio nella sindrome del tunnel carpale) è stata dimostrata nel corso degli anni. Tuttavia, prima dell’intervento vanno escluse con attenzione certe condizioni reversibili associate a questa sindrome (come il mixedema, la gravidanza e la gotta). L’impiego di sostanze neurolitiche, il ricorso alla neurotomia e alla nevrectomia dovrebbero essere riservate ai casi di nevralgie neoplastiche terminali. Il tasso elevato ed inaccettabile di recidiva, anche e spesso grave, dopo questi interventi ne deve escludere l’impiego in patologie non maligne.